http://www.elisabettamarinello.it/foo.html 2018-06-04 http://www.elisabettamarinello.it/foo.html 2018-06-04

Io scrivo. Scrivo perché non so parlare. Perché la parola scritta non è mai sbagliata. È scelta. Il più delle volte, in maniera assolutamente ponderata.

Non esce per sbaglio, per istinto, per superficialità. Si prende il suo tempo, prima di materializzarsi. Non ha un volume da regolare, né un accento particolare, poiché non ha una voce. Per meglio dire, assume il suono di chi la legge. Perciò, ha miliardi di voci. E può essere quella che esce dalla bocca o quella che risuona dentro ognuno di noi che, poi, è la voce dell’anima. Per questo, il suo suono è inevitabilmente familiare ed intimo. È sempre degna di stima, perché impossibile rinnegarla o rimangiarla, per ciò stesso eterna e nobile.

Scrivo per me, perché devo farlo. Non potrei farne a meno, come del respirare e del mangiare. E, scrivendo, amo. Amo tutto di me, soprattutto la mia anima che purifico e glorifico. Ma non scrivo solo per me. Scrivo anche per te. Per te che hai l’universo dentro e non sai come esprimerlo, pur desiderandolo sopra ogni cosa. Ne hai l’urgenza, lo so. Lo stesso accade a me. Ma non riesci ad attribuire le parole giuste ad ogni emozione che ti pervade e, se anche le trovi, non hai la forza, la voglia, la costanza di trascriverle. Però - lo sai anche tu - l’ispirazione, quando arriva, è come un fiume in piena che non si può fermare. Allora quelle parole, uniche e irripetibili, le lasci andar via, disperdersi nell’infinito cosmo di cui sei fatto, credendo che, chissà, forse un giorno potresti ritrovarle. 

Te lo dico: non le riprenderai mai più. 

Quelle che riaffioreranno saranno diverse, magari anche più belle, ma non saranno più le stesse. Io quella forza ce l’ho. Ho la costanza. E non che per me sia sempre facile. A volte è persino doloroso. Ma sono allenata e, probabilmente, nata per questo. Predestinata. Perciò, scrivo anche per te. E ti confesso che mi gratifica sapere se mai io sia riuscita a trascrivere quel tuo pensiero, quella tua emozione che, per un attimo, sfiorandoti il cuore, ti è sfuggita come una bellissima farfalla sfugge ad ogni fiore. 

Se io, con le mie parole, riesco a far affiorare la magia di un’emozione che, in quell’istante, solo a te è appartenuta, allora dimmelo! 

Io amo ciò che scrivo. Lo amo a prescindere. Al contrario, sarebbe come non apprezzare i più divini dei doni: l’anima e la mente. Ma sono un essere umano tra gli esseri umani, con i suoi bisogni e le sue debolezze. È un po' come una mamma che ama ed è orgogliosa dei suoi figli, sempre e comunque. Ma non può che farle piacere sentirsi dire, anche dagli altri, di aver fatto un buon lavoro, avendoli messi al mondo belli e cresciuti ammodo, speciali. 

Così è per lo scrittore. In fondo, scrivere è un atto d’amore. È donarsi all’altro e ricevere dall’altro. È riascoltare l’eco del proprio “Ti amo”. Poiché, sentirselo dire, equivale a ricevere una carezza al cuore. La più soave delle carezze. 

Ma, detto così, sembrerebbe soltanto un piacere, un vezzo, scrivere. In realtà - lo ribadisco - è una necessità, come una medicina da assumere quotidianamente. È terapeutico, come la ranitidina al mattino. 

Ne vuoi un esempio?  

“Ma basta! Che senso ha?" Ho annotato su un foglio qualunque, in uno di quei terribili giorni in cui niente riesce a risollevarmi dalla voragine in cui, inspiegabilmente, precipito. "Ho perso tutto: mio padre, la dignità, la speranza. Resterò da sola, perché è inutile guardarsi attorno, c’è il vuoto intorno. Indifferenza e ipocrisia. Egoismo e falsità. Desidero solo sparire nell’inutilità, nella nullità dell’essere. Non voglio più impegnarmi a cercare di realizzarmi o di essere felice. Basta con queste mere illusioni! Le fortune arrivano da sole e quando non te le aspetti. Forse, quando neanche te le meriti. Un lavoro, quello sì, per forza. Devo. Ma senza pretese, senza sforzo, senza obiettivi, né traguardi da raggiungere. Un semplice lavoro che mi permetta di tirare avanti la famiglia, meglio che io possa fare e che mi riempia la giornata, altrimenti vuota ed inutile. Ma senza passione, senza sentimento, senza slancio. Spenta. Come spenta è la mia anima.” 

Poi - con la sensazione di chi abbia rigettato tutto il materiale ristagnante nello stomaco - sollevata da impercettibili fili, mi sono alzata da quel letto che, per ore, forse giornate, mi aveva intrappolata. Nulla era rimasto di quel dolore, di quell’angoscia, di quel senso di abbandono assoluto. C’ero. Ero di nuovo in me stessa, sanata. La vita mi reclamava ed io, fiduciosamente, ad essa mi sono abbandonata, come tra le braccia di una madre, tornando anche a scrivere. 

Non soltanto per me, ma anche per te.


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