C’è da dire che quella giornata era veramente partita male.
Si era svegliata emozionata come prima di un primo appuntamento, tipo che ti vuoi vestire bene tipo che ti vai a comprare qualcosa in città da metterti addosso per l’occasione tipo che hai un attacco di diarrea per l’ansia. L’appuntamento che avrebbe dovuto affrontare quella sera era stato organizzato da lei un mese prima quando aveva sentito un podcast “Andare avanti affrontando il passato” dove una blogger raccontava di quanto sia importante rivedere le persone che ci hanno ferito per “perdonare e riconcentrarsi sul presente”. E come spesso le accadeva, prese quei dodici minuti di podcast come fossero parole del nuovo messia sceso tra la folla.
Decide di lavarsi i capelli. K organizza sempre il lavaggio dei capelli, oggi è anche la giornata della maschera ai semi di lino, che giornata pazzesca pensa. Entra in doccia e la maschera per capelli le cade a terra appena svita il tappo sotto la doccia. Che giornata pazzes- non fa in tempo a finire il pensiero che scivola e cade sbattendo la testa sulla mensola di plastica che si trova all’interno della doccia. Si tocca, sangue.
Esce dalla doccia e quando si guarda allo specchio vede il segno della caduta sulla fronte. Un bel cazzo di livido si sta colorando di blu.
Va in ufficio come se niente fosse, prende il caffè americano con Sarah nel bar accanto alla palazzina. Entrambe si lamentano di quanto faccia schifo.
«Chissà perché continuiamo a tornarci.»
«Oggi è veramente una merda.»
«Lo adoro.»
«Ma che ti sei fatta alla fronte?»
«Lascia stare.»
Sarah la guarda, sorride e finisce l’ultimo sorso di caffè con una faccia disgustata.
«Senti, tutto pronto per stasera? A me continua a sembrarmi una cazzo di follia.»
«Lo è.»
Tornano a lavorare alle proprie scrivanie. A Kate vibra il telefono. Messaggio. La schermata dice Sarà strano dopo tutto questo tempo. Seconda vibrazione, secondo messaggio. Non so perché ho detto di si.
Kate alza gli occhi al cielo, sbuffa e continua a lavorare sul suo computer mentre dall’altra parte della scrivania si alza una testa sopra un pc, è Sarah che le sussurra con la bocca «È lui?»
Kate annuisce.
La giornata di lavoro si conclude, Kate prende la metro, si mette le cuffie e continua il podcast “Prendere coscienza del conflitto mediorientale” ascolta un paio di secondi -La polarizzazione geopolitica fra Teheran e Riyadh ha finito per estremizzare le differen- Kate cambia podcast Ma chi voglio prendere in giro, e fa partire “Chi ha partecipato al baby shower dei gemelli di Beyoncé e perché”.
Ritorna a casa dove inizia a sentire l’ansia che comincia a salire. Che poi il suo appartamento è un casino. Cerca di rifare il letto in fretta per convincersi che sia tutto in ordine ma in realtà non lava il pavimento da almeno quattro mesi. Sa già come vestirsi dato che ha dedicato le ultime due ore di lavoro a questo. Pantaloni -quelli che avevo quella sera- e la camicia bianca, sicuramente metterò l’orologio perché voglio che lui lo veda. Davanti allo specchio con il rossetto in mano si fissa per alcuni minuti. Pensa alla camicia sporca di lui e al bacio a stampo lasciato sulla parete della sua camera dopo quella notte.
Non mette il rossetto.
Il profumo.
Fissa due flaconi diversi per sei minuti. Stappa il primo e torna a quella sera a Madrid. È in un locale a ballare fronte contro fronte con G, la musica è tutta ovattata, le luci del posto sono calde, è febbraio ma la Spagna non lo sa, odore di tequila ambrata rovesciata sulla gonna e gusto di Golden Virginia sulle labbra. Mentre ballano si fissano negli occhi e sorridono. Chiude il profumo e resta a fissare la boccetta per un po’.
Apre l’altra boccetta e avvicinandosi lentamente al profumo si ritrova seduta in macchina con Nick ascoltando il cd di Mac deMarco mentre fuma una sigaretta. Fa caldo, saranno le cinque del mattino, sono a bordo di una Ford blu del 2001 ed entrambi stanno bevendo l’ennesima birra, Nick confessa. La vuole anche se è fidanzato con Nicca. Kate scherza sul fatto che due persone con due nomi così simili dovrebbero continuare a stare insieme. Lui la bacia e lei le infila la mano sotto la camicia sfiorando la collana che Nicca gli ha regalato per i cinque anni insieme festeggiati quella sera, prima che lui passasse a prendere Kate fuori da un locale.
Non mette il profumo.
Kate arriva al ristorante in ritardo dopo una corsa in Uber durante la quale l’autista non faceva che ripeterle di parlare più piano. Una stella ti darò figlio di puttana commenta con Sarah che la sta tranquillizzando dall’altra parte del telefono. Il posto non è male e riflette sulla signorina all’entrata che la riceve. Pensa che sia vestita in modo esageratamente formale per questo tipo di ristorante, poi guarda i quadri alle pareti, il lampadario a goccia che pende dal soffitto e capisce che ha fatto un errore di calcolo. Si pulisce le scarpe sullo zerbino e entrando, l’ombrello resta incastrato nella porta.
«Buonasera sono Debora come posso aiutarla?»
«Salve ho prenotato per sei, DeCarlo.»
«Sono già arrivati tutti. La stanno aspettando.»
«Merda.»
«Come scusi?»
Kate sorride e segue la ragazza che le fa strada verso il tavolo.
Inizia a sentire la faccia diventare sempre più calda, la voce comincia a mancarle e inizia a sudare.
Vede quattro uomini seduti ad una tavola rotonda che si voltano appena entra nella sala. Fa un cenno alla tavolata e alzando la mano va a colpire il volto di un cameriere che si porta subito una mano al naso trattenendo un insulto. Due degli uomini seduti a tavola accennano un sorriso per poi bloccarlo appena l’uno lo vede sulla bocca dell’altro.
Kate si siede. La sedia, in tutte le versioni di questa serata che la sua mente aveva partorito, era decisamente più comoda. Una sedia scomoda per una serata scomoda.
Guarda tutti i presenti seduti e comincia a parlare.
«Immagino che vi stiate tutti chiedendo che ci fate qui» Tom la guarda e fa per andarsene
«No aspetta un solo secondo Tom ti prego. Fammi parlare poi potrai andartene.»
«Kate mi hai fatto venire qui con l’inganno.»
«Lo so. Non saresti mai venuto altrimenti.»
«Strano, non è da lei. Giusto Kate?» A parlare è Alex, con un mezzo sorriso sulla faccia. Tom è ancora in piedi e la sta guardando con odio. Kate con uno sguardo di supplica cerca di trattenerlo accennando un segno di negazione con la testa. Tom si siede «dillo e basta, cosa vuoi.»
Kate si schiarisce la voce e fa uscire dalla bocca le uniche parole che potrebbe pronunciare «Vino?»
Arriva una cameriera giovane con una scollatura decisamente esagerata per il lavoro che fa e per il contesto in cui si trova. Kate guarda gli ospiti uno per uno e poi, rivolgendosi alla cameriera, «Tutti vino rosso, mi porti due bottiglie grazie». La cameriera osserva la tavolata composta da quattro uomini e una donna con aria di sufficienza e con mezzo sopracciglio alzato.
Kate li guarda e le scappa un sorriso perché nessuno di loro è cambiato in viso né nel modo di vestire. Se li ricordava esattamente così e questo, non sa perché, la rassicura. Tom ha sempre la camicia bianca coperta da un maglione blu scuro e quel leggero tic all’occhio, Alex ha sempre i pantaloni stretti e i capelli lunghi, Nick porta sempre l’orecchino e lo stesso anello e Grey la guarda nello stesso modo da diciassette anni.
Comincia il discorso che nei giorni precedenti aveva provato più volte con Sarah.
«Vi ho chiamati qui per poter andare avanti».
Un rumore forte arriva dalla sedia di Tom mentre si alza e fa per andarsene accennando un «Non ci posso credere.»
«Non è l’inizio che speravo» sussurra Kate verso Nick che alza un sopracciglio e fa un cenno di soddisfazione.
Grey vede la scena e si scambia un’occhiata con Kate che gli accenna un mezzo sorriso. Kate sente battere il cuore leggermente più forte, decide di far finta di niente.
Alex guarda gli altri e chiede «Io non ho capito che ci faccio qui. Chi sono loro?»
Tutti si girano a guardarlo.
«Vedo che sei migliorata con le tue scelte, mi fa piacere» dice Nick accarezzando il bordo del calice vuoto. La cameriera arriva con le due bottiglie di vino. L’uomo ne prende una e la apre. Si versa un calice di vino e la lascia sul tavolo. Prende il bicchiere e lo beve fino a finirlo.
«Fammi indovinare, sei tu quello che beveva troppo e che le diceva a che ora tornare a casa» chiede Grey.
«No. Quello ero io.» Commenta Tom risiedendosi e guardando Kate con viso contrito. Kate lo guarda e lo ringrazia con il capo.
«Sei allucinante. Mi hai lasciato come uno stronzo in quella città di merda. Non sono più felice mi hai detto e te ne sei andata» fa eco Tom.
«Non l’hai fatto solo con me allora» dice Nick.
«Questa l’ho già sentita» commenta Grey con un mezzo sorriso.
Grey si versa un calice di vino e guarda Kate sorridendo. È stato l’unico dei presenti a cui non ha detto quelle parole. Ed è stato l’unico dei presenti che lo sa. Alex prende la bottiglia di vino e lo versa agli altri. Nessuno lo ringrazia. «Buono questo vino. Lo dovrò pagare io come sempre? Che stronza»
«Smettila di dire stronza. Stronza, troia. Chiediti perché sei seduto a questo tavolo. Sei difficile da sopportare cazzo. Tutte troie. Tutte stronze. Che puttane.»
«Ma perché siete tutte troie. Ragazzi diteglielo.»
«Si, devo dire che il livello si è alzato. Complimenti K.» commenta Nick.
Alex prende il suo calice e ne beve un sorso e s’intravede un sorriso spettacolare come Kate ricordava. Le piacevano tanto i suoi denti e quello che li circondava. Lei e Alex si erano conosciuti da ubriachi una sera di Ferragosto quando tutta la città era praticamente vuota. Lei era abbronzata, cosa che non capitava spesso, portava una maglia rossa, maglia che le diede il soprannome per i due mesi a seguire, la ragazza con la maglia rossa, così la chiamava Alex. Era la tipica serata in cui non voleva tornare da sola e vide questo ragazzo in fila al bancone di un bar. Da lontano scorse quel sorriso che le sarebbe stato benissimo addosso quindi si avvicinò al suo orecchio e gli sussurrò «Il prossimo te lo offro io.»
Lei e Alex passarono un periodo fatto di London Mule e cocaina finché Kate non si dimenticò la pillola anticoncezionale per due giorni di fila perché non dormiva mai e non capiva che ore fossero o chi fosse lei. Dopo un ritardo di tre settimane chiamò Alex che “Ma che cazzo dici. Ci stavamo divertendo perché devi dire queste stronzate. Ma cosa me ne frega a me. Io sto scopando come un diciassettenne ultimamente e non ho intenzione di smettere, non so cosa pensi Kate. Ci facciamo un po’, ci ubriachiamo e io non smetterò di farlo.»
Kate non avrebbe mai voluto un futuro con lui. Peccato che il suo corpo si mise in mezzo a questa decisione. Non disse mai nulla a nessuno se non ad Alex che si rifiutò di aiutarla in qualsiasi modo.
«Tu mi hai lasciata da sola quando ti ho detto che volevo abortire.»
«E tu mi dicevi di prendere la pillola quando non era vero.»
In quel momento Tom guarda Kate negli occhi forse per la prima volta da quando è arrivato. Attraverso quello sguardo Kate torna indietro di dieci anni quando rimase incinta di Tom ed erano felici e volevano tenerlo e avevano scelto un nome e sembrava fosse perfetto e Tom quella sera aveva bevuto troppo e quella macchina andava troppo veloce e lei era in quella macchina e quella sera si era messa una camicia troppo scollata e Tom no, non lo sopportava e decise di guidare più forte perché è così che faceva quando si arrabbiava, la spaventava e quella macchina correva sulla statale e quella macchina andò fuori da quella statale e di Oliver, nome che avevano scelto insieme, non ci fu più nessuna traccia. Nessun Oliver appena nato, nessun Oliver che va alle elementari, che si diploma, che presenta la sua prima fidanzata a due Tom e Kate più vecchi. Non ci fu più traccia né di lui né dei due Tom e Kate giovani.
«I signori volevano ordinare?». La cameriera interrompe lo sguardo tra i due. Tutti fanno cenno di no, Kate guarda la cameriera e pensa che si sia slacciata ancora un bottone della camicetta che sta portando da inizio servizio.
A Nick cade l’occhio dentro la scollatura e Kate si mette a ridere. L’uomo la guarda con sguardo curioso. «Non sei cambiato nemmeno tu» Nick si agita e le dice che deve smetterla di accusarlo come ha sempre fatto. «La smetterò quando tu smetterai di provarci con qualsiasi cosa che abbia dei seni. Mi davi della pazza, mi immaginavo le cose.»
Kate si accorge che tutti la stanno guardando trattenendo un sorriso e la vena sul suo collo si fa sempre più gonfia, il suo viso si colora di un leggero bordeaux e gli occhi si riempiono di lacrime. «Nessuno di voi ha mai voluto un rapporto sincero con me, mai.»
Kate batte la mano sulla tavola e fa tremare i calici.
«Non mi parlavi mai Nick. Non mi hai mai chiesto nulla sul mio passato. Dio Nick non sapevi nulla di me non sai nemmeno qual è il mio colore preferito.»
«Rosso» mima Grey con la bocca guardando Kate. Il battito decide di accelerare ma lei continua a far finta di niente perché di quel battito Kate non sa che farsene se non prendere aerei, ritornare nei posti nei quali poteva ricostruirsi ogni volta tutta la sinossi dei loro incontri, scriverci sceneggiature, scegliere la luce perfetta come fosse un direttore della fotografia, scegliere la canzone giusta, come quella che portò Grey a premere play sullo stereo quella notte di agosto accompagnando il gesto da una frase che per lei fu emblematica «Ecco Kappa, io sono questo adesso e te lo dico perché sia chiaro» ascoltandolo nel silenzio per poi ripartire il giorno dopo e sparire per un anno intero.
Nick resta in silenzio. Alex si versa da bere e Tom fissa Kate, fa un cenno di negazione con la testa «Mi hai lasciato da un giorno all’altro. Da solo, con una dipendenza e tanta rabbia. Ho passato degli anni terribili dopo che te ne sei andata. Non mi fido più di nessuna. Avevi detto che mi saresti stata vicina. Non l’hai fatto e io non ti perdono». Tom sentenzia, si alza e se ne va.
Nick, fissando la tavola senza muovere la testa dice «Rosso. È il rosso il tuo colore preferito.» Si alza e se ne va.
Alex le chiede se può andarsene e la ringrazia perché, tutto sommato, è stato un bello spettacolo. «Che alla fine Kate, ho sempre dovuto pagare io per quello che hanno preso gli altri.» Lascia sul tavolo 100$ e se ne va.
Tutti se ne vanno. Resta Grey al tavolo e la guarda negli occhi.
«Perché non mi hai fatto nessun discorso?»
«Perché non devo perdonarti niente.»
«Perché secondo te?»
«Lo sai.»
«Sempre stato chiaro» commenta Grey alzando il calice di vino verso di lei
«Sempre.»
«E allora perché sono qui?»
Kate e Grey si guardano. Lui sorride leggermente, Kate anche.
«La persona che devi perdonare per andare avanti è seduta a questo tavolo ma non sono io.»
Kate continua a guardarlo e respira come uscita da una lunga apnea, lo guarda con la bocca socchiusa e gli occhi stanchi.
«Ora posso andare Kate?» La donna dà consenso con la testa. «Bell’orologio» commenta alzandosi. La cameriera lo guarda camminare verso l’uscita seguendo tutti i suoi movimenti poi si avvicina a Kate che ormai è rimasta da sola a tavola, si guarda attorno e con sguardo spento prende in mano il calice di vino.
I quadri alle pareti piano piano perdono colore e la cameriera con la scollatura parla in modo strano, come se stesse lontano chilometri. Il bicchiere che Kate stava tenendo in mano è scomparso e tutte le posate e le bottiglie che erano sulla tavola si stanno sfumando nell’aria opaca della sala. Improvvisamente cala il silenzio e la cameriera si avvicina a Kate. La ragazza inizia a dire con aria preoccupata «Kate?». Ma a preoccuparsi è Kate che non le vede più la bocca ma sente solo il suono della voce che chiama il suo nome. Terrorizzata e confusa si guarda attorno e capisce di trovarsi in una stanza vuota. Si volta cercando di capire dove si trova e non vede più nemmeno la cameriera.
Il richiamo persiste.
«Kate?»
La voce si fa sempre più vicina. Fino a quando non sente una mano toccarle il braccio.
Si sveglia ed è nuda dentro la doccia con Sarah che la tiene.
«Kate cazzo come stai?»
«Io..sono confusa credo di aver...»
«Hai sbattuto la testa cazzo! Stai sanguinando! Ma che cazzo è sta roba? Maschera al lino?»
Sarah si siede accanto a lei dopo averla coperta con un asciugamano. Sospira.
«Alzati, come ti senti? Sono venuta a chiamarti perché pensavo ti fossi addormentata. Non rispondevi più al telefono. Non ti sei presentata a lavoro.»
Kate si tocca la fronte sporca di sangue. Si asciuga. Si guarda allo specchio.
«Avvisalo tu, digli che non ci vado più. Sti cazzo di podcast.»