Noi buoni
appena intravisti
e lasciati soli
nell’esilio crepitante
dell’anima
a dormire male
nel male che ci vive.
Noi strani
senza via di scampo
percorsi spopolati
nel nostro
corpo bambino.
Noi stanchi
che portiamo il mondo
sulla schiena,
solchi su terra spaccata,
sguardo di bestie
arrese a una fatica
senza tregua.
Noi pochi
addossati al vuoto leggero
di una sola solitudine,
venature di carta
in cerca di un silenzio
risonante
che allarghi la luce,
docilmente sospesi
come diomedeidi al vento.
E, come grembi d’erba,
beviamo avidamente
un tintinnio di pioggia,
offrendo gli occhi
irriverenti al cielo.
Noi creature mute
strette all’orizzonte
nel disarmo del volo,
vie di mare attraversate
a piccoli colpi di remo,
come pulviscolo d’aria
nella corrente delle attese.
Noi ideogrammi sonori
nel ripiego irriducibile
del cuore e, ad ogni
assiduo inciampo,
improvvisazione delle ali,
oltre noi e il nostro nido
tutto è ferita.
E paura nascosta di voi,
filo spinato del nostro tempo,
implacabile mistura di bisbigli
e pressione di sciabole
che accoltellano alle spalle.
E sebbene esistiate,
pur siamo accaduti,
gli esclusi
sul bordo del mondo,
e siamo cresciuti soli senza
spiegazione di cielo,
guardando le foglie
piovere nel vento.
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