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Terme di Caracalla

Le Terme di Caracalla o Thermae Antoninianae costituiscono uno dei più maestosi esempi di terme imperiali a Roma conservate piuttosto bene. La loro costruzione risale agli anni tra il 212 ed il 216 d.C. sulle pendici del Piccolo Aventino, nella zona compresa tra il tratto iniziale della Via Appia, poco al di fuori dell’antica Porta Capena, e il Circo Massimo. 

Furono inaugurate nel 216 da Caracalla, prima che i lavori fossero portati a termine; furono i suoi successori, Eliogabalo (218-222) e Alessandro Severo (222-235), ad occuparsi della costruzione e decorazione del recinto esterno e delle due esedre. Per facilitare l’accesso, che avveniva direttamente dalla Via Appia, quest’ultima fu allargata e trasformata nell’ampia e probabilmente alberata Via Nova. Inoltre, per garantire la disponibilità di una notevole quantità di acqua, venne creata una diramazione dell’acquedotto romano Aqua Marcia, chiamata Aqua Antoniniana, che valicava la Via Appia appoggiandosi sul preesistente Arco di Druso. Per la realizzazione delle Terme si rese necessario abbattere gli edifici già in loco e lo sbancamento di parte della collina. Divennero seconde per grandezza solo dopo il 306 d.C. quando vennero realizzate le Terme di Diocleziano. 

Successivamente altri imperatori realizzarono opere di ristrutturazione: Aureliano, Diocleziano, Teodosio e per ultimo anche il re goto Teodorico (493-526). Purtroppo, in seguito al taglio degli acquedotti voluto dal re dei Goti Vitige, dal 537 le terme cessarono di funzionare.

Il sito, più volte utilizzato come dimora, ospizio gratuito per forestieri e pellegrini, cimitero per inumazioni o sfruttato come terreno agricolo dai proprietari delle ville limitrofe, da enti o dal clero, venne costantemente derubato dei materiali pregiati come marmi e metalli, e di intere strutture come architravi e colonne. Ne sono un esempio il Duomo di Pisa e la Basilica di Santa Maria in Trastevere

A partire dal XVI secolo, esso fu oggetto di scavi: sotto il pontificato di papa Paolo III (Alessandro Farnese) vennero riportate alla luce celebri statue che, dapprima, entrarono nella collezione Farnese e poi, dal 1826, collocate presso il Museo Archeologico Nazionale di Napoli

Tra le statue: 

  • Il supplizio di Dirce”, conosciuta anche come “Toro Farnese”, una copia romana di un originale greco della fine del II secolo a.C. ricavata da un unico blocco marmoreo; 
  • La Flora”; 
  • L’Erede”.


Nel 1563 papa Pio IV donò al granduca di Toscana, Cosimo I de’ Medici, l’ultima colonna intera che venne posta al centro di Piazza Trinità a Firenze, neo battezzata “Colonna della Giustizia”. 

Nei secoli successivi proseguirono gli scavi. Nel 1824 fu scoperto il mosaico policromo con ventotto figure di atleti, che oggi si trova presso i Musei Vaticani, insieme ad alcune vasche di granito poste nel cortile del Belvedere. Sono di provenienza del complesso archeologico di Caracalla anche le due vasche di granito di Piazza Farnese. Nel primo ventennio del Novecento vennero alla luce i sotterranei e nel 1938 il mitreo, una caverna utilizzata per il culto pagano, il più grande fra quelli noti a Roma. 

Nel 1960 vi si svolsero le gare di ginnastica durante le Olimpiadi di Roma.

Dal punto di vista strutturale, il complesso venne progettato ispirandosi alle Terme di Traiano sull’Esquilino, infatti era caratterizzato da un vasto recinto quadrangolare, adibito a servizi vari, contenente un giardino e un corpo centrale costituito da spogliatoi, sale da bagno e palestre. Anche qui il calidarium era posto sul lato sud, per permettere alla luce solare di penetrare all’interno, e dotato di ingressi estremamente stretti, per mantenere il calore. Ciò che le distingueva, invece, dalle Terme di Traiano era che il nucleo termale era nettamente separato da tutti gli altri ambienti secondari e di servizio, per lo più dislocati lungo il recinto.
Quest'ultimo, in corrispondenza della facciata rivolta verso l’attuale Viale delle Terme di Caracalla, era preceduto da un portico, dietro cui si aprivano una serie di celle comunicanti tra loro, disposte su due livelli, atte anche a sostenere l'intera struttura, mentre la parte esterna era occupata da attività commerciali. Presumibilmente, al centro della stessa facciata doveva esserci una scalinata che conduceva al piano del giardino. Nei due lati minori del recinto erano presenti due ampie esedre, assolutamente simmetriche, che includevano vari ambienti accessibili dal giardino tramite un colonnato. Sul lato di fondo, dalla parte dell’attuale Viale Guido Baccelli, il terreno era sostenuto da 64 celle, disposte su due piani, comunicanti tra loro, che formavano la cisterna, punto terminale dell’Aqua Antoniniana, di fronte alla quale si apriva un’esedra rettangolare, munita di gradinate con funzione di stadio, ai cui lati sorgevano due biblioteche, una greca ed una latina, delle quali è rimasta quella di destra. Addossata al recinto, sul versante interno, vi era una passeggiata sopraelevata e, probabilmente, porticata. Lo spazio aveva il recinto ed il corpo centrale era occupato dai magnifici giardini compreso il lungo xystus, coperto forse dal pergolato.
Il corpo centrale, a cui si accedeva attraverso quattro porte, era un blocco rettangolare di vani a pianta diversa, con un avancorpo semicircolare. Come nelle Terme di Traiano, anche qui le sale da bagno occupavano l’asse centrale mentre gli altri servizi, in forma duplice, erano disposti simmetricamente ai lati. La natatio era abbellita da quattro maestose colonne di granito, di cui l’unica superstite si trova oggi nella Piazza di Santa Trinità a Firenze; negli apodyteria, spogliatoi su due piani, decorati con preziosissimi mosaici, ci si cospargeva il corpo di olio ed unguenti; le palestre, due e simmetricamente opposte, erano dotate di un grande ambiente absidato destinato agli esercizi ginnici al coperto. Questi potevano essere semplici giochi, e per questo bastava indossare una semplice tunica di maglia o un mantello, oppure gare di lotta per le quali, invece, si rendeva necessaria un'apposita preparazione con il ceroma, un unguento di olio e cera che ammorbidiva la cute ed uno strato di polvere per impedire di scivolare tra le mani dell’avversario. Dopo gli esercizi ginnici, eseguibili anche all’aperto, iniziava il vero rito del bagno, seguendo un iter ben preciso. 

Da quel momento in poi, il percorso non era più simmetrico ma unico. 

Si iniziava con il laconicum, una specie di bagno turco, la cui conformazione circolare impediva la dispersione di calore, poi si proseguiva nel calidarium dove ci si immergeva nell’acqua calda della grande vasca circolare, ci si cospargeva la pelle con un po' di soda e poi con lo strigilis, un raschiatoio arcuato in metallo, si eliminava l’unto dato da oli, unguenti e sudore. Il percorso procedeva verso il tepidarium, un ambiente più piccolo e temperato, di forma irregolare, contenente vasche con acqua tiepida per permettere al corpo di abituarsi gradualmente al cambiamento di temperatura, per giungere poi al frigidarium, o sala fredda, un salone basilicale parallelo alla natatio. Esso era coperto da tre grandi volte a crociera poggianti su otto pilastri fronteggiati da colonne in granito, ed era munito di quattro vasche di acqua fredda poste agli angoli della sala coperta. A cielo aperto, nella natatio, proseguiva il rito del bagno con un tuffo nella piscina con acqua gelida e terminava dopo che il massaggiatore (unctor), nelle sale laterali alla basilica, aveva cosparso il corpo di unguenti e profumi. Volendo, era possibile richiedere altri servizi: l’alipilus (depilazione) e il tonsor (taglio dei capelli). Finalmente ci si rilassava al sole sui tetti delle terme o nel grande giardino che era delimitato da un recinto, forse porticato, su cui si aprivano due esedre contenenti vari ambienti, tra cui sale per conferenze, massaggi e cure cosmetiche o posti di ristoro, di cui uno di forma ottagonale doveva essere un ninfeo

Tutti gli ambienti erano estremamente curati ed impreziositi: pavimentazioni in mosaico, pareti rivestite di stucchi e marmi policromi, centinaia di statue, delle quali una quarantina sono state rinvenute, ma si suppone ve ne fossero più di 140 dislocate sia nel corpo centrale che lungo il recinto. Le stesse vasche erano rivestite di mosaici con raffigurazioni di animali marini che, con lo spostamento dell’acqua, sembravano muoversi ed essere animati. 

Notevole interesse suscitano i vasti ambienti sotterranei, destinati ai servizi, di cui le terme erano dotate, ma volutamente tenute nascoste agli occhi dei visitatori. Nel 1912 venne rinvenuto un mitreo, datato inizi III secolo d.C., detto “Mitreo di Santa Balbina” poiché situato vicino alla Basilica di Santa Balbina, un luogo destinato al culto del dio Mitra, di origine orientale, al quale si accedeva dall’esterno del recinto. Esso si componeva di cinque ambienti collegati al piano superiore attraverso una scala. 

L'ambiente principale, la cripta sacrale, consisteva in un’ampia sala rettangolare sormontata da una serie di volte a crociera sorrette da pilastri in mattoni, chiusa da una porta. Il pavimento conserva ancora un mosaico a fasce bianche e nere e vi è interrata una grande olla fittile chiusa da un anello in marmo, utilizzata probabilmente per i riti di abluzione; ai due lati vi erano due alti banchi, i praesepia dove sedevano i fedeli durante le celebrazioni. Una delle pareti è affrescata con il dio Mitra ed un personaggio che regge nella mano sinistra un disco solare. Al centro della sala vi è una fossa rettangolare in cui si suppone venisse sacrificato il toro. Da questo ambiente si accede in un altro dove si erge un bancone in mattoni ed una vaschetta con al centro dei gradini. Il vestibolo, antecedente la sala principale, conduceva anche ad un altro ambiente che, probabilmente, era la stalla dei tori destinati al sacrificio. 

Un lungo restauro ha permesso, a novembre 2012, la riapertura al pubblico e, oltre agli innumerevoli lavori sui mosaici, sulla copertura a volte e sugli intonaci, ha messo in sicurezza la fossa sanguinis, dove il sacerdote veniva inondato, onde purificarsi, dal sangue del toro ucciso sopra di lui. Ha inoltre realizzato un nuovo sistema di illuminazione degli ambienti con lo scopo di valorizzarne ogni dettaglio. È stata anche ripristinata la scalinata che collegava il luogo di culto con il sovrastante piano delle terme.


Il 27 luglio 1937 il Governatore di Roma, Piero Colonna, annunciò che, a partire dall’immediato 1 agosto, avrebbe preso il via la stagione lirica all’aperto presso il complesso archeologico delle Terme di Caracalla diventando, così, il più grande palcoscenico del mondo. L’allora Teatro Reale dell’Opera trovava un definitivo assetto delle strutture, garantendo allo stesso tempo una continuità lavorativa al personale dipendente, tecnico ed artistico. Del resto l’Arena di Verona vantava già un ventennio di stagioni liriche. 

Il palcoscenico fu progettato ed allestito da Pericle Ansaldo (Genova 1889- Roma 1969), uno scenografo ideatore del palcoscenico mobile a sezioni e di molte altre innovazioni di illuminotecnica e dei servizi tecnici annessi, oltre che presso il Teatro dell’Opera di Roma, anche negli Stati Uniti e in Francia. Il palcoscenico, con un boccascena di ventidue metri, venne posto all’interno di una delle aule situate accanto al tepidarium, mentre la platea disponeva di 8.000 posti divisi in sei settori.
La prima stagione durò otto giorni, con cinque rappresentazioni in totale: tre di “Lucia” di Lammermoor e due di “Tosca”. L'anno successivo le opere salirono a sei: “La Gioconda”, “Mefistofele”, “Aida”, “Lohenfrin”, “Isabean” e “Turandot” per un totale di ventotto rappresentazioni, dal 30 giugno al 15 agosto.
Durante la seconda guerra mondiale le rappresentazioni cessarono, riprendendo nel 1945, per interrompersi nuovamente dal 1993 al 2001, anche se saltuariamente ne vennero allestite presso lo Stadio Olimpico. 

Gli spettacoli ripresero in uno spazio più idoneo e atto alla salvaguardia dei preziosi reperti archeologici, con impianti teatrali più tecnologici ed una platea ridotta a 3.500 posti. Attualmente, le rovine archeologiche non fanno più parte del palcoscenico ma fungono da cornice, suggestiva ed unica al mondo, alle rappresentazioni delle stagioni estive liriche e coreografiche del Teatro dell’Opera di Roma.


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