L'altra faccia della medaglia
Roma. La città più bella del mondo. Giustamente orgogliosa della sua bellezza. Maestosità e vanto. Lo si può negare?
Ma chi la vive ogni giorno, chi soltanto la sfiora, chi dice di amarla e, soprattutto, chi la amministra, tutti costoro se ne prendono cura quanto merita?
Noi tutti siamo sicuri di essere all’altezza di tanto splendore?
Ebbene, data l’evidenza dei fatti, la risposta è decisamente no!
Roma oggi, permettetemi di dirlo – e mi piange il cuore fare una simile dichiarazione - è una discarica a cielo aperto. La raccolta differenziata è rimasta a zero. Quasi nessuno la mette in atto e, anche se la facesse, sarebbe uno sforzo vano dato che, a quanto si dice – ma sarà solo una diceria? - a livello centrale si compie un rimescolamento dei vari rifiuti.
Quel che è certo è che non è ancora radicata la cultura del differenziare. Forse perché non c’è obbligo e, quindi, sanzioni, come avviene in quasi tutte le altre realtà italiane. È, dunque, l’obbligo ciò di cui ha bisogno il popolo?
Qualunque provincia, rispetto a Roma, in fatto di raccolta differenziata e di pulizia e cura delle strade, vincerebbe il confronto. Posso fare il paragone con la mia città, Terni, la quale, a dispetto di qualche suo cittadino che si lamenta a prescindere – ma, evidentemente, non ha mai varcato il confine della conca – risulta essere un vero gioiello, curato, amato, protetto, pronto ad essere servito su di un piatto d’argento. Certo, tutto ciò richiede degli sforzi, delle spese ingenti ma il ritorno, non soltanto economico ma anche di salute - del corpo e dell’anima - lo è altrettanto.
Va bene, il paragone con una cittadina di provincia non è ammissibile. Allora lo faccio con una di pari rilevanza, grandezza e importanza, storica, economica e artistica: Barcellona. Qui mi si permetterà! Ebbene, il risultato sarebbe lo stesso. Roma perderebbe miseramente il confronto, su tutti i fronti.
Barcellona è pulita. Per terra non trovi neanche uno scontrino e, se anche lo trovassi, puoi star certo di non ritrovarcelo il giorno successivo. Ogni giorno frotte di turisti la invadono letteralmente, dando vita ad un perenne ricambio. Ma a tanti turisti corrispondono altrettanti operatori ecologici, disseminati ovunque. Rastrellano le ridenti stradine pedonali e le sempre affollate spiagge, a piedi, con il loro cesto in mano e senza mai sbuffare o lamentarsi. Battono il lungomare e lavano, rassettano, disinfettano. Di giorno e di notte. E la città è uno specchio. Le strade, oltre ad essere pulite, sono curate, senza buche né disconnessioni; gli asfaltatori, rapidi e discreti, sono sempre all’opera, anche - per i nostri standard - laddove non ce ne sarebbe bisogno!
Se qualcuno pensa che io stia “sputando nel piatto dove mangio”, dimostrando ingratitudine nei confronti di una città che mi ospita, dandomi l’opportunità di lavorare e, quindi, di vivere, ebbene io rispondo che non è affatto così. È esattamente il contrario. Questa denuncia è proprio il frutto di un'immensa riconoscenza e di un profondissimo rispetto.
E tutto ciò dovrebbe turbare, soprattutto, i romani. Vorrei che lo facessero, che si indignassero, che pretendessero, da chi è preposto a farlo, che se ne prenda cura, amorevolmente, seriamente, doverosamente. Invece Roma, la città eterna, è abbandonata a se stessa.
Ma, attenzione, il problema non è soltanto quello del mancato ritiro dei rifiuti. Ma di una dilagante, sconcertante maleducazione, sin troppo radicata e, ancor più, l’insana - a mio avviso inaccettabile - abitudine a tale sporcizia. Il tollerarla, come se niente fosse.
Oramai è come se i cittadini indossassero dei paraocchi o degli occhiali speciali che permettono loro di camminare sopra ai rifiuti, di schivarli con inquietante indifferenza, di sedersi su una panchina quasi sommersa da bottiglie, mascherine, carte e plastiche, senza vederli. Sì, non vedendoli. Perché farlo significherebbe infuriarsi e, quindi, agire, protestare.
Ma il romano - diciamocelo - è cronicamente stanco, stremato dal traffico, dal sovraffollamento nei mezzi pubblici, dai ritmi e dai tempi assurdi per gli spostamenti, tanto da annaspare tutta la settimana. E, durante il week-end, l’unico obiettivo che ha è evadere, scappare da Roma, migrare lungo il litorale, conquistare le regioni limitrofe, ad esempio la verde Umbria, deliziando il palato e riempiendosi gli occhi di armoniosa bellezza. Insomma, per godere del tanto agognato e meritato relax.
Il vero problema è lasciare che una piazza diventi una grande pattumiera, dove l’area per i cani, paradossalmente, sia molto più pulita e curata di quella per i bambini, dove accanto alla panchina occupata dai riders – quasi tutti di origine africana - in attesa degli ordini, ve ne sia un’altra, sommersa da immondizie varie - buste, coperte, barattoli, bacinelle, residui organici e quant’altro - divenuta ormai la casa per un’anziana donna, povera e palesemente ammalata. Ma questa è ancora un’altra storia, molto più complessa, incancrenita, e forse irrisolvibile, di tutte le altre...
A parer mio, non ci si dovrebbe candidare ad amministratore di una città complicata come Roma se non si è certi di possedere tutti i necessari requisiti per adempiere ad un così alto ed arduo compito. Bisognerebbe partire dall'educazione e dall'insegnamento al rispetto, e poi impiegare le giuste risorse, attuando anche un'opera di controllo e, dove necessario, di punizione. Insomma, occorrerebbe, per impugnare le redini, essere dotati di superpoteri, fatti di estrema competenza, abnegazione, cultura, passione, compassione ma anche senso della realtà, sguardo critico, fermezza, determinazione e, non ultimi, autorevolezza e polso fermo.